Fonte: Il Messaggero
La Stampa: Vaccino, una speranza dall’Italia
“Così possiamo battere il morbo” Oggil’Irbm di Pomezia presenta una cura su Nature Medicine
Un’idea tutta made in Italy, che diventa realtà con capitale di rischio straniero, consentendo in solo cinque anni di ottenere ricavi almeno dieci volte tanto l’investimento iniziale. Il tutto salvando e promettendo di implementare posti di lavoro altamente qualificati.
È il «miracolo italiano» del vaccino anti-Ebola, che oggi verrà spiegato nei dettagli alla comunità scientifica internaziona le dall’edizione online di Nature Medicine. La scoperta che promette di fermare l’epidemia che in Africa è costata già 2100 vite nasce a 25 chilometri da Roma, nella cittadella scientifica che è la Irbm SpA di Pomezia. Un po’ di verde, pannelli solari che ne garantiscono l’autonomia energetica, un inceneritore per smaltire i rifiuti e tanti laboratori super attrezzati, dove lavorano una cinquantina di persone, in larga parte ricercatori under 40. Una bella realtà, che non ne cancella però un’altra, quella delle tante aziende che hanno sbaraccato o ridotto drasticamente gli organici in quello che era considerato fino a due anni fa uno dei più grandi poli farmaceutici italiani.
L’Irbm l’aveva messa su proprio quel professor Riccardo Cortese, alla guida del team ita lo-svizzero che promette di dare scacco non solo a Ebola ma anche ad Hiv, epatite C e malaria, “perché il meccanismo con il quale agisce il vaccino è pratica mente lo stesso, bastano piccole modifiche e può funzionare anche contro altri virus”, assicura il professore. Lui l’Irbm l’ha diretta per 15 anni, prima di togliere il disturbo dopo l’acquisto da parte del colosso farmaceutico americano Merk, la quale a sua volta l’ha ceduta a un lungimirante imprenditore italiano, Piero Di Lorenzo.
Ma all’inizio con gli americani non c’è intesa. Da qui l’idea di creare Okairos, società biotech specializzata in vaccini ancora tutti da scoprire.
“L’idea del vaccino contro Ebola e altri virus micidiali l’avevamo già in mente, ma nessuna delle tante porte alla quali ho bussato si è aperta”, racconta Cortese. Tutto il contrario di quel che avviene quando il professore si trasferisce a Basilea, “perché se da noi ne trovi due disposti a investire capitale di rischio qui sono almeno mille”. E i soldi arrivano, inizialmente 20 milioni, ai quali poi si aggiungeranno le risorse messe sul piatto dalla Regione Lazio, dal Cnr e dall’Istituto Superiore di Sanità. Quando le professionalità ci sono però il rischio viene ripagato. La piccola Okairos si rilancia a testa bassa nella ricerca del vaccino anti-Ebola, lavorando a stretto contatto anche con i National Institutes of Healt americani.
I risultati arrivano, “con mio stupore i test sulle scimmie danno risultati eccezionali e arriva l’ok dell’Aifa e della Food & Drug Ad ministration americana alla sperimentazione sull’uomo”, ricorda il professore. Che poi spiega in parole semplici come funziona il vaccino, anticipando i risultati pubblicati oggi.
“Siamo partiti da un banale adenovirus (quello del raffreddore, ndr). Con delle modificazioni genetiche siamo riusciti a trasformarlo in un killer capace di agire contro gli agenti patogeni” Ebola, ma anche Hiv e altri virus. “Le cellule modificate – prosegue – non si limitano a creare anticorpi come i tradizionali vaccini preventivi, ma riescono a individuare il virus proprio quando questo si introduce nell’organismo, bloccando l’infezione sul nascere”.
Una scoperta che potrebbe salvare milioni di vite umane se supererà l’esame dei test sull’uomo, che partiranno su 10 mila portatori di Ebola ma che potrebbero presto essere estesi ad altre malattie mortali. Ma per passare dall’invenzione alla produzione servono stabilimenti attrezzati e specializzati. Servono insomma capitali che solo le multinazionali possono mettere in campo.
E infatti la bella favola italiana finisce qui, per virare verso un finale già noto a molte imprese nostrane. Non certo solo del farmaceutico. Cortese infatti vende la sua Okairos alla multinazionale della pillola Glaxo Smith Kline, che preparerà sempre a Pomezia, i primi lotti di vaccino.
“Siamo partiti da 20 milioni di venture capital e abbiamo venduto nel 2013 dopo solo 5 anni per 260 milioni”, dichiara con orgoglio l’inventore del vaccino. Che però ci tiene a ricordare che il capitale umano resta made in Italy.
InUsa quando parlano di innovazione usano dire «we need a new game», abbiamo bisogno di un nuovo gioco. Chissà che il vaccino anti-Ebola non ci insegni come essere anche noi della partita.
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